Una nuova dimensione metropolitana può restituire a Venezia un ruolo centrale per lo sviluppo del Veneto

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A colloquio con Paolo Costa, Consigliere di Fondazione Venezia
a cura di Alfredo Martini

Venezia città del mondo, Venezia con la sua storia e il suo straordinario paesaggio e patrimonio artistico e architettonico. Venezia città unica. E’ la Venezia dell’immaginario. Ma c’è un’altra Venezia quella reale, tutta immersa nella contemporaneità. E di questa Venezia abbiamo voluto parlare e ragionare con Paolo Costa, una delle persone che maggiormente conosce la città, come territorio, con i suoi problemi, le sue potenzialità e i suoi limiti. Già Rettore di Ca’ Foscari, già sindaco e poi presidente dell’Autorità portuale, da sempre in prima linea a costruire analisi e riflessioni sul futuro di una Venezia che non può che collocarsi in una dimensione metropolitana.

“Oggi se parliamo di Venezia dobbiamo fare i conti con una città a due dimensioni destinate a convivere. Da un lato la città immersa nella Laguna, la cui storia oggi si consolida nell’attrazione internazionale; dall’altro lato una città a dimensione metropolitana, un nodo nel contesto insediativo nazionale ed europeo. Stiamo parlando di oltre un milione di persone in un’area vasta che comprende principalmente le attuali province di Venezia, Padova e Treviso e che può candidarsi a svolgere quel ruolo strategico di terzo polo del nuovo triangolo industriale, con Milano e Bologna. Una città metropolitana policentrica il cui principale valore va individuato nell’importante articolazione infrastrutturale (porto, aeroporto reti autostradali e ferroviarie) e dalla sua collocazione geografica che oggi assume una posizione strategica con un’economia mondiale che è sempre più nel segno dell’Oriente.”

Torniamo alla Venezia storica, al suo centro, alla sua crisi economica e demografica, alle sue contraddizioni di città che vive di turismo e allo stesso tempo ne è soffocata.
“La storia degli ultimi decenni è nota. Una serie di processi, di disattenzioni, di sottovalutazioni, di interessi forti per i quali Venezia non era più funzionale e utile. Una città che perde il suo centro di affari, che si spoglia dei centri di servizio verso l’esterno, che si chiude in se stessa, che rinuncia a svolgere una funzione di riferimento per il territorio, è destinata a impoverirsi. Le sue grandi potenzialità come città della cultura non sono entrate in sinergia con il suo sistema universitario, per quanto illustre e di valore. E poi da sempre la cultura costituisce un fattore di consolidamento, poche volte è in grado di essere da sola il motore di un nuovo sviluppo. Non l’aver compreso l’importanza delle reti e dei collegamenti, l’aver fatto dell’isolamento quasi un fattore identitario ha significato uscire dal futuro e accettare una condizione di città legata al passato. Questo è ciò che è avvenuto, ora però si apre un’altra storia. Per effetto della pandemia il turismo così come si è manifestato fino ad oggi, che abbiamo conosciuto fino a due anni fa, è destinato a cambiare profondamente. Assisteremo a una riconfigurazione quantitativa e qualitativa che non potrà non avere effetti anche su questa Venezia. Ancora una volta Venezia dovrà guardare al mare, al suo porto, all’acqua. Le polemiche sulle grandi navi da crociera sono destinate a sciogliersi in questa riconfigurazione, ma il porto quello che accoglie, distribuisce e riesporta merci dovrà tornare ad essere un catalizzatore di nuove opportunità e attività economiche. Bisogna ripartire da qui, dalla posizione geografica, dalla “via della seta”. Si dovrà rilanciare il rapporto forte tra il mare e la città. Il porto deve tornare ad essere la porta di ingresso, un valore per l’altra Venezia e per l’Italia. Ma perché ciò avvenga bisogna risolvere alcune criticità. La prima riguarda il suo apparente conflitto con la difesa della città lagunare dal mare. Del resto il sistema Mose non avrebbe dovuto essere solo paratie mobili, bensì doveva, poteva e può ancora separare salvaguardia e portualità. Garantire l’accessibilità. Vanno, altresì, superate le gelosie e le rivalità con Trieste, da trasformare in utile collaborazione. All’Italia, ma anche all’Europa non basta un solo collegamento marino adriatico con l’Oriente, soprattutto se le merci debbono poi trasferirsi verso l’occidente della pianura padana o del centro Europa. Allora risolvere i problemi di accessibilità nautica del porto di Venezia deve diventare una priorità, soprattutto oggi che si stanno risolvendo quelli ferroviari. Negli ultimi 3 anni fino al 2019, la portualità italiana è la sola che si è bloccata, a differenza di quelle spagnola e greca. Rischiamo di essere esclusi dalle opportunità offerte dalla nuova fase della globalizzazione.”

Mare, porto, sviluppo economico: che ruolo può giocare in questo scenario Marghera?
“Se si condivide questa visione allora quel che bisogna fare è valorizzare la localizzazione filo banchina. Rimettere in gioco le potenzialità di un’area manifatturiera e logistica tra le più vaste d’Europa come Marghera, acquisendo piena consapevolezza dell’importanza del mare. E creare quella stretta connessione che ci deve essere tra il tessuto delle PMI che sono una delle risorse più rilevanti del Nord Est. Un sistema imprenditoriale che se una volta guardava all’Europa ora è rivola verso il mondo. Ecco allora l’importanza di poter contare su un’area portuale, Porto Marghera, in piena efficienza e che si offre come trampolino verso tutto il mondo. Del resto, l’industria manifatturiera ed agroalimentare del Nord Est ha dimostrano una capacità di resilienza alla pandemia decisamente superiore a settori come il turismo, colpiti al cuore. Il porto, quindi, come fattore strategico per valorizzare le potenzialità della città metropolitana e con essa l’intero Nord Est.

Sappiamo bene quante resistenze vi siano anche a livello istituzionale a considerare la creazione di una vera e propria città metropolitana policentrica come quella di cui stiamo parlando. Quale visione dovrebbe diventare condivisa perché si riesca ad accettare un riforma territoriale e amministrativa che vada in questa direzione?
“Resistenze e opinioni diverse sono ovviamente legittime. Va, tuttavia, sottolineato come oggi la mancanza di un vertice metropolitano, seppure con caratteristiche molto specifiche, come quello di cui stiamo ragionando, costituisca un elemento che rende meno forte il Veneto e l’intero Nord Est. Purtroppo va registrato che manca una strategia in questo senso. Non sembra che vi sia la consapevolezza che in un mondo tutto urbanizzato, come la nostra pianura padana, di fenomeni di crescita delle città, i nodi metropolitani -una ottantina in Europa – sono destinati ad assumere una funzione decisiva nei processi di sviluppo, in quanto qui si concentra l’innovazione. In questa visone in cui si riconfigurano i confini della città metropolitana veneta, allargandola da Venezia verso Padova e Treviso, si avrebbero quelle dimensioni in grado di gestire al meglio le transizioni chiave della nostra contemporaneità, quella ecologica e quella digitale, accettando il confronto competitivo con il mondo. Questa visione, inoltre, costituisce una concreta risposta alla nuova domanda di relazioni che debbono essere globali e crescere sia quantitativamente che qualitativamente. Si pensi soltanto alla relazione tra le reti, le infrastrutture e il territorio, alle potenzialità di nuovi insediamenti, nuovi poli funzionali a queste esigenze, come l’area intorno all’aeroporto, in grado di creare maggiori sinergie tra le vocazioni industriali, la logistica e la residenza. Un processo che dovrà necessariamente tenere conto degli effetti post-Covid, con i profondi mutamenti sul piano insediativo, che porteranno a ridisegnare radicalmente le stesse città. Pensiamo a come inciderà l’innovazione digitale sui sistemi di mobilità. Fattori che già hanno contribuito a modificare il commercio e il lavoro intellettuale. ”

Quale è oggi il ruolo di Mestre e quale potrà essere all’interno di questa nuova città metropolitana?
“La prima riflessione da fare riguarda la mancata intercettazione da parte di Mestre della  fuga delle attività economiche (banche assicurazioni, grandi imprese) da Venezia storica e di conseguenza di candidarsi ad essere un vero e proprio centro di servizi a supporto dell’intera città d’acqua e di terraferma diventando cerniera con il resto della regione.  Oggi lo scenario è cambiato e sicuramente l’essere un nodo ferroviario strategico l’ha di fatto trasformata nel punto di interconnessione, di luogo connettivo tra i tre potenziali centri della città metropolitana: Venezia, Padova e Treviso. Un nodo vitale per la mobilità delle persone. Resta aperta la questione delle merci. Un ulteriore rafforzamento ed integrazione verrebbe dal completamento e rilancio del Sistema ferroviario metropolitano, realizzando concretamente l’obiettivo della relazione tra lavoro e residenza all’interno di 15/20 minuti. Ovviamente, anche per quanto riguarda Mestre una crescita di ruolo e di funzioni, in termini di nuovi servizi, si avrebbe da un potenziamento della portualità. Il che coinvolge anche Marghera. Saper attirare imprese che montano e fabbricano pezzi (Project cargo) per andare nel mondo creerebbe non solo nuova occupazione, bensì una crescente domanda di servizi che potrebbero essere collocati in continuità con il retroterra. Perché anche i servizi hanno comunque la convenienza di posizionarsi verso il mare. Da questo punto di vista appare quanto mai urgente anche ripensare ciò che oggi è il Parco tecnologico, collocato in un’area di sicuro interesse per nuove attività produttive che guardano al valore strategico del filo banchina. Sotto questo punto di vista appare importante una pianificazione che opera per scenari a cui legare una conseguente programmazione.”

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