Cultura e produzione. La ricetta per Venezia

News

pubblicato su Il Gazzettino del 27 giugno 2021
a cura di Alfredo Martini

Ragionare su Venezia e sul suo futuro liberamente, cercando di ipotizzare e di disegnare qualcosa di diverso, ma fortemente radicato in una storia quasi millenaria. Guardare senza pregiudizi e con occhi aperti a quello che il turismo è stato e sarà per Venezia e per quello che rappresenta per il Veneto e non solo. Ezio Micelli parla da veneziano e da docente allo Iuav, forte dell’esperienza amministrativa fatta in passato e dall’amore per la sua città. L’attacco è una sentenza.
«Venezia come la vediamo oggi è diversa da quella che era non tantissimi anni fa. Alla fine del secolo scorso si è consumata una trasformazione. Non sono passati moltissimi anni da quando a Venezia erano  presenti importanti attività economiche. Oltre alla sua vocazione di luogo straordinario e per questo di attrazione turistica, era presente un’economia terziaria vitale e riconoscibile. Nel corso del tempo banche, assicurazioni, sedi di rappresentanza di aziende nazionali, hanno via via abbandonato Venezia. Un processo che ha riguardato anche importanti amministrazioni pubbliche. Così che questi vuoti sono stati riempiti da attività legate al turismo. Si è affermata la convinzione che il turismo fosse l’unico destino della città. Nella mutazione che ha caratterizzato la città non ci si è resi conto che a un modello in cui la produzione di ricchezza aveva un ruolo se ne è sostituito un altro, basato prioritariamente sull’estrazione di rendita. La città ha cambiato pelle: la ricchezza viene prodotta altrove e Venezia si specializza sull’estrazione della rendita turistica. Se mi specializzo esclusivamente sul turismo, perdo la connessione tra passato, ricchezza da sfruttare, e futuro, e cioè la prospettiva che Venezia può svolgere negli anni a venire. Oggi la sfida che abbiamo davanti è di ricostruire le condizioni per ritrovare questa connessione».

È un fenomeno che ha riguardato non soltanto Venezia, ma che ha attraversato un po’ tutta l’Italia, coinvolgendo città di dimensioni e vocazioni diverse…
«È vero, molte città medie italiane hanno visto progressivamente ridurre la propria forza nei servizi avanzati. Pensiamo alla riorganizzazione del sistema bancario. Molte città medie con centri storici importanti si sono riconvertite a un modello economico nel segno del turismo. Certo il caso di Venezia è particolarmente esemplificativo ed è qui che maggiormente si è assistito a uno stravolgimento sociale ed economico. La città ne è stata travolta e non c’è stata piena consapevolezza di quanto stesse avvenendo. Oggi, alla luce della Pandemia, ci si accorge che la città è in ginocchio e che il fenomeno non riguarda solo il centro storico ma anche Mestre che sul turismo ha puntato molto negli ultimi anni. La Pandemia ha messo in evidenza anche delle opportunità. Oggi viviamo un momento in cui attendiamo di capire cosa possa succedere, anche se dubito che assisteremo a un ripensamento del modello basato sul solo turismo. Quel che va fatto è aprirsi a una molteplicità di opportunità, così da riportare la città a un nuovo equilibrio, al cui interno il turismo resta un settore importante ma non il solo motore economico della città. L’esperienza della città vuota deve portarci a riflettere sul fatto che non è vero che non si possa cambiare. Dobbiamo rinunciare a un percorso nostalgico da città capitale. Non siamo in competizione con Parigi, con Londra o con Amsterdam; dobbiamo confrontarci con un’altra dimensione e con altri modelli, quelli delle città medie che fondano il proprio sviluppo su un sistema reticolare di poli diversi collegati e interconnessi. Dobbiamo sfatare l’immagine che se non sei una capitale sei periferia, per intraprendere un percorso che fonda il suo successo su vocazioni economiche e sociali che valorizzano aspetti che sono propri della nostra tradizione».

Quale potrebbe essere la ricetta?
«Bisogna puntare sulla produzione culturale e sulle attività che questa porta con sé. Viviamo nell’economia della conoscenza e dobbiamo partire dalla constatazione che la nostra forza e la nostra identità si basano sulla straordinaria rete di istituzioni culturali che operano accanto a realtà uniche di valore mondiale, come la Biennale. Non si tratta solo di economia immateriale, ma anche di un vasto ambito di attività produttive – dalla produzione manifatturiera ai servizi avanzati – che la produzione immateriale si porta dietro. Deve essere un progetto che lega città antica e terraferma. Perché se è vero che il valore simbolico riguarda la città antica è altrettanto vero che esso si consolida e si alimenta attraverso la costruzione di legami con le diverse realtà della terraferma. Un insieme di relazioni e di collegamenti creati non secondo uno schema gerarchico ma dialettico, fondato su di una dinamica cooperativa che superi vecchie contrapposizioni. Le università sono una risorsa per tutta Venezia, intesa nella sua dimensione più ampia che si intreccia con le altre realtà urbane ed economiche del Veneto».

Come si collega questo approccio con una possibile evoluzione in una dimensione metropolitana aperta alle altre città e province del Veneto?
«Venezia è un patrimonio e un simbolo che vale per il Paese. Egualmente, dobbiamo creare una rete solida con tutto il Nord d’Italia, andando oltre confini amministrativi e modelli ormai superati. L’Ocse molti anni fa ha detto che non è possibile leggere Venezia se non all’interno di uno spazio più ampio. Aveva ragione, purtroppo a questa indicazione non è stato dato seguito. Venezia da sola non va da nessuna parte. Bisogna andare oltre una collocazione istituzionale come quella che era all’origine della vecchia PaTreVe e lavorare su meccanismi di cooperazione e di specializzazione. Pensiamo alle città olandesi che hanno scelto questa strada con grande successo: L’Aja, Amsterdam e Rotterdam, ognuna si è specializzata e differenziata. E ogni città dialoga e interagisce con le altre. In attesa di avere una Governance più consapevole, la strada è quella di operare per essere sempre più integrati con l’obiettivo che ogni città svolge un ruolo specifico e dove chi vi vive trae beneficio perché parte di questa rete».

Torniamo al rapporto tra turismo, vivibilità e valore simbolico, ovvero come deve cambiare il modo con cui fruire Venezia.
«Per riprendersi il futuro, Venezia deve dimostrare di saper restare città e non trasformarsi in merce di consumo. E deve farlo restando aperta a tutti, dimostrando di essere ancora un luogo capace di produzioni originali a cui il mondo si interessa e si appassiona. Una città contemporanea, dal passato stupefacente ma capace di un presente e soprattutto di un futuro per nulla appiattiti sui fasti della propria storia».

Menu